venerdì 27 aprile 2007

scootervisions 9


Il tizio si è sollevato da terra, con l’aria un pò spersa, poi ha raccolto un pezzo di plexiglass, guardandolo con cordoglio, l’ha rigirato tra le mani e poi ha provato ad adattarlo al parabrezza del vespone. Nel frattempo dalla macchina parcheggiata a spina di pesce, con ancora le luci della retromarcia accese, è sceso uno basso, pelato, che si guardava intorno come a dire ma questo da dove è spuntato?

“lei faceva retromarcia” ha attaccato lamentoso il tizio del vespone “non mi ha visto e sono caduto” poi sventolando il triangolo di plastica ha aggiunto “si rumpiu u specchiu”.

Il signore pelato della macchina l’ha guardato ancora, con la mascella semicaduta, come se stesse pensando di vedere un marziano, improvvisamente materializzatosi dietro al paraurti posteriore della sua Focus.

“ma da dove spuntò” ha mormorato, “ho taliato nello specchietto, ma non c’era nessuno”.

Quello del vespone allora si è toccato il gomito, con una espressione ancora più lamentosa, e gli ha detto “pare che c’è u malocchiu, l’avevo accattato stamattina, trenta euro mi costò”.

Il bassotto della Ford Focus si è guardato la punta delle scarpe, poi ha guardato me, che ero a pochi metri di distanza da loro, ma io ho distolto lo sguardo, stavo leggendo il giornale prima di attaccare col lavoro della giornata, e non mi ero accorto di niente.

“ma che vuole fare l’assicurazione?” ha attaccato quello dello scooter, “lasci perdere, che l’anno prossimo l’abbruciano con l’aumento, mi dà trenta euro e non ci pensiamo più”.

Al tizio della macchina la proposta deve essere sembrata sensata, anche temendo le vampe del malus della propria assicurazione, così ha messo la mano in tasca ha contato tre banconote da dieci e le ha messe in mano al tizio con il parabrezza rotto.

Poi se n’è andato, eseguendo una retromarcia circospetta, temendo di investire qualcuno o qualcosa.

Io mi sono infilato in un ambulatorio, il giornale l’avevo finito, ed era ora di buscarmi il pane.

Quando sono uscito, dopo manco mezz’ora, ho sentito dire “mii si rumpiu u’ specchiu, ma cheffà un mi vitti signora?”, detto dallo stesso scooterista di prima, con il medesimo triangolo di plexiglass nelle mani, ad una biondina allucinata scesa a razzo da una yaris, con ancora le luci di retromarcia accese.

“Eh, chi non ha un lavoro se lo trova” ho pensato allora a voce alta, forse quello del vespone mi ha sentito, e dopo avere incassato altri trenta euro se n’è andato.

Con il triangolo di parabrezza in tasca, ovviamente, pronto a replicare.

spazi


(foto di Declan McCullagh)


 


 


l'amore è  forse questione di spazi da immaginare


guardare, guardare


sognare e credere che


resterà anche un pò di spazio per sè.


(autore anonimo autografo, 2007)

domenica 22 aprile 2007

venerdi 20 aprile, da nord a sud e ritorno

 


Immag005    


 


 


 


 


 


 


 


 


Una sensazione effondente, come di olio che macchia la tovaglia, come di anima che si apre alla memoria, al vedere dalla statale a scorrimento veloce (e immaginare) le zolfare abbandonate.

Penso a quante vite e polmoni e occhi si sono consumate lì sotto, prima che la concorrenza dei fertilizzanti industriali facesse perdere l’interesse per la minera.

I manufatti, enormi, inutilizzati e lasciati al degrado del tempo, le case dalle finestre vuote e buie di quelli che furono i minatori, ed i loro familiari. Le stazioni ferroviarie, grandi muri spessi e alti finestroni, i piazzali invasi dall’agave, senza più neanche i binari, con la trincea dove correva il treno in cui la ginestra selvatica e le canne sono altissime.

(sountrack: blonde redhead)

 

Un paese in cui, stranamente, non c’è niente da vedere, tranne il moderno monumento al minatore. Una chiesa antica ce l’abbiamo, dice il mio ospite, ma la aprono solo per la festa del santo, non c’è altro da vedere. Non vale la deviazione dalla superstrada che collega Tirreno e Mediterraneo; accanto alla ricostruzione della torre che intelaiava gli ascensori verso l’inferno di zolfo e buio, accanto ai trenini che si caricavano di minerale giallo, e trainati da muli e asini uscivano alla luce della luna, accanto al ricordo che ancora fa male una grande insegna informa i viandanti automuniti che a cento metri potranno ammirare la statua di padrepio.

(soundtrack: cyann & ben)

 

La curva è precisa, a gomito, una di quelle in cui gli autotreni rallentano, si fermano, suonano le trombe due o tre volte prima di avventurarsi nella strettoia; eppure dal lato destro della strada, sotto al parapetto, la spiaggia è di sabbia color ocra, e sullo sfondo, oltre le piattaforme petrolifere, te lo immagini il continente, le analoghe spiagge della Tunisia. Sul lato sinistro della curva, sopra uno sperone calcareo, dietro una insidiosa barriera di opuntia spinosa riposa la casa cantoniera di cui mi piacerebbe essere ospite, qualche volta; peccato che è abbandonata, anche il tetto è crollato, e la spettacolare palma centenaria ombreggia una ticchiena su cui nessuno si siederà a godersi, dopo avere travagghiato e sudato alla vampa calcinante dell’estate siciliana, quel momento della giornata in cui tutto diventa colore dell’arancio.

(soundtrack: slowdiver)

 

Dopo avere premuto il campanello, si tende una mano da stringere, “sono solo, avete un tavolo?” dice il viandante stanco, desideroso di meravigliare le proprie papille gustative. Il locale non è ampio, conto le sedie, sono ventiquattro, è un buon segno, vuol dire che lì non si cucina per le masse, ma per la libidine di pochi.

Arriva il cuoco, vuole accertarsi che i piatti che ho ordinato corrispondano alle mie aspettative, perciò me ne spiega la preparazione, e gli ingredienti, e tutta la filosofia che sta dietro alla cottura.

Attendo con desiderio, e poi sono dei piccoli miracoli, prima per la vista e poi per il gusto; il conto non sarà contenuto, ma ne valeva la pena. E il viaggio di ritorno, dopo avere salutato questi nuovi amici, pieno di riflessioni e riesame dei retrogusti.

(soundtrack: the apples in stereo)

giovedì 19 aprile 2007

qualcosa manca

Immag015


 


                                                             non so, è come se mancasse qualcosa.

sabato 14 aprile 2007

ottanta


Un signore, capo di un piccolo stato molto elitario, compie ottantanni. Questo signore, come da tradizione, pretende di continuare a dirci cosa dobbiamo fare, come dobbiamo farlo, cosa è giusto e cosa è sbagliato, e a garantirci una comoda vita ultraterrena se facciamo tutto quello che dice lui.

La buona notizia è che compie ottantanni, quindi si può sempre sperare che madre natura si ricordi prima o poi che la vita media dei maschi sul continente si aggira intorno ai settantasei anni, la cattiva notizia è che ad ottantanni i vasi cerebrali non è che siano così tanto elastici, da cui la rigidità metallica della maggior parte dei suoi ragionamenti.

lunedì 9 aprile 2007

quelli che, pasqua e pasquetta


 


Quelli che ti chiamano col numero nascosto, e si incazzano se non gli rispondi.

Quelli che è meglio non tenere il numero in memoria, e poi fare finta che non si sono riconosciuti.

Quelli che è bene non tenere il numero in memoria, comunque lo capisci subito che sono loro.

Quelli che si ricordano di te solo al momento del messaggio di auguri.

Quelli che si ricordano di te al momento del messaggio di auguri di Natale.

Quelli che si ricordano di te, allegramente, al momento del messaggio di auguri di Capodanno.

Quelli che si ricordano di te, chissà mai perché, al momento del messaggio di auguri di Pasqua.

Quelli che mandano un sms che farebbe miglior figura pronunciato dal papa all’angelus.

Quelli che non si ricordano del tuo compleanno anche se tu ti ricordi del loro.

Quelli che scrivono sms così banali che farebbero vergognare chi ha inventato l’sms.

Quelli che stanno una settimana a pensare a cosa scrivere nel messaggio circolare di auguri di Pasqua e poi pensano che è meglio non mandarlo.

Quelli che ti rimandano dopo un anno lo stesso sms che gli avevi mandato tu lo scorso anno.

Quelli che non ti rispondono mai, perché sono tirchi.

Quelli che non ti rispondono mai, perché sono presuntuosi.

Quelli che non ti rispondono mai, perché sono pigri.

Quelli che vorresti chiamarli, però sono passati troppi anni dall’ultima volta che li hai chiamati.

Quelli che vorresti chiamarli, però hai paura che ti risponda la persona sbagliata.

Quelli che vorresti chiamarli, ma non sei tanto sicuro che la telefonata sia gradita.

Quelli che gliel’hai detto per telefono, ed era meglio che non glielo dicevi.

Quelli che non gliel’hai detto per telefono, ed era molto meglio se invece glielo dicevi.

Quelli che si aspettavano i miei auguri e invece non li hanno ricevuti, quelli che non si aspettavano i miei auguri e invece li hanno ricevuti, quelli che non mi aspettavo che mi facessero gli auguri e invece me li hanno fatti, quelli che mi aspettavo che mi facessero gli auguri e non me li hanno fatti, quelli che mi aspettavo che ricambiassero e non l’hanno fatto, quelli che si aspettavano che ricambiassi e invece non l’ho fatto.

A tutti quelli e a tutte quelle, e anche a quelli e quelle che non ho citato, coraggio, domani è ancora vacanza.

martedì 3 aprile 2007

quattrossa




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Le bottiglie di birra erano sul cofano di una Mercedes con le ruote sgonfie, parcheggiata di traverso sul marciapiedi, i bicchieri di plastica li teneva l’americano.

“beviamo” disse l’americano, e ci si videro i denti d’argento. Pino il nano pigliò le bottiglie e ci scippò il tappo con il manico di una forchetta.

“per primo beve quattrossa” disse l’americano.

Quattrossa si agitò dentro la sua tuta da ginnastica troppo larga, ma il tono dell’americano era di quelli che non ammetteva repliche.

“lo sapete che quattrossa ha la cerosa apatica” disse Franco mabboro.

L’americano atteggiò un ghigno orribile, e con l’unghio ipertrofico del mignolo si levò qualchecosa dai denti davanti.

“quando paga l’americano, bevono tutti.” Un raggio di sole malato illuminò l’anello dell’americano, un anello che voleva dire comando.

Il figlio del salumiere, quello che, mischinazzu, stava nella sedia a rotelle davanti il negozio quando non pioveva, si girò verso il gruppo.

Che vita di merda a essere andicappato come a quello, pensò Pino il nano.

Intanto la birra era stata versata nei bicchieri di plastica, un po’ di schiuma cadeva di lato.

Quattrossa tremava dal freddo nella sua tuta da ginnastica troppo larga.

Aveva la cirrosi. Colpa della merda che gli vendeva l’americano. E ora che non si faceva più quello non glielo perdonava, e non perdeva occasione di fargli fare la figura del malato davanti agli altri.

Al figlio del salumiere cominciò a scolare un filo di bava dal mento, Franco mabboro, Pino il nano, l’americano e quattrossa bevvero la birra.

L’americano ruttò, quattrossa tremava dal freddo, cominciò a piovere, il salumiere rientrò la carrozzella del figlio nel negozio, Pino il nano sputò per terra.

domenica 1 aprile 2007

paradiso e coccoina


 


Molto probabilmente lassù si è già messo all'opera, starà creando la raccolta delle figurine dei santi, e dei diavoli, con contorno rosso. E ci saranno schiere di angeli e arcangeli che impastano nuvole e polvere d'ali per fare la coccoina, necessaria ad attaccarle, tutte quelle figurine. Inventò un business sentimentale, il cavaliere Panini da Modena. Pochi giorni fa ho avuto l'occasione di visitare il museo della figurina, nella sua città, che non è focalizzato solo sul mondo pallonaro, anzi. E poi sui giornali è comparsa la notizia che se ne era andato. Ho un ricordo, ho milioni di ricordi legati all'estorsione delle centolire a mamma, che a papà non c'era verso (per le figurine), della passeggiata ansiosa fino all'edicola, dello sporgersi oltre la diga di giornali e riviste per chiedere all'uomo che aveva preso il colorito del giornale le cinque bustine, e poi lo strappo, il frusciare dei rettangolini colorati, il controllo mentale del celo  e mimanca. E dopo, a casa, la spalmatura della colla profumata. E poi il gioco d'azzardo con amici e compagni, gli elastici per tenerle ferme in tasca, il baratto, il commercio, la passione e la follia. E gli scudetti delle squadre estere, e l'atlante aperto per vedere dove cavolo fosse montevideo, o in che città giocasse l'Estudiantes.


e tu, lettore frettoloso e più o meno nostalgico o smemorato, appiccicavi anche tu rettangolini colorati?